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– Allora io inizio a contare e tu nasconditi!
– Vado, non mi troverai mai, Mamoru.
– Uno, due, tre…
– Lentamente!
– … Otto, nove, dieci! Arrivo Yoshi!
Ecco, qui va bene. Non mi troverà questa volta. Non feci in tempo a pensarlo che lo sentii gridare.
– Ti ho visto! Dietro l’albero.
– Come hai fatto?
– La tua sciarpa arancione sbucava tra i rami.
– Non è giusto, tu mi trovi sempre subito, Mamoru.
– Ora tocca a te contare.
– Però non avvicinarti ai binari come l’ultima volta, se no mamma si arrabbia.
– Ok, ok, – rispose con aria soddisfatta.
Mi avviai verso l’albero dove contavamo, ma mi paralizzai.
– Hey, Yoshi. Che fai lì impalato? Yoshi? Dai vieni. Yoshi?!
Mamoru si avvicinò a me.
– Hai visto? – sussurrai.
– Cosa?
– Quello. È da prima che sta fermo là, – dissi indicando un signore con gli occhiali che indossava un cappotto scuro che sembrava troppo largo per lui.
– Non ti preoccupare, vai a contare.
– Ma mi fa paura. È strano.
– No, è solo un vecchio. Puoi contare qui, se vuoi. Così gli stai lontano.
– Va bene. Uno, due, tre…
– Ciao, ho sentito che ti chiami Yoshi. State giocando a nascondino? – mi interruppe l’uomo dagli spessi occhiali.
– Cosa? Sì, ehm… Ora devo andare a cercare il mio fratello… Nii-chan[1]! Nii-chan!
Cominciai a correre verso i binari per allontanarmi da quell’uomo spaventoso.
– Ti ho detto di non nasconderti vicino alla ferrovia! – gridai sperando uscisse dal suo nascondiglio.
Mi girai e l’uomo continuava ad osservarmi.
– Dove sei, nii-chan? Dai, non fa ridere!
– Buu! – fece lui all’improvviso saltando fuori da dietro un cespuglio.
– Nii-chan!
– Ti ho fatto paura, eh! Che avevi da gridare tanto?
– No, è che quell’uomo…
– Hai paura di un vecchio?
– No, ma…
– Guarda, ce n’è un’altra anche alla finestra lassù, – disse indicando un palazzo poco distante che si affacciava sul parco – hai paura anche di lei?
– Nii-chan, si sta avvicinando.
– Bambini posso giocare con voi? – disse l’uomo con un sorriso che scoprì dei grossi denti gialli.
– No, non parliamo con gli sconosciuti, – rispose il mio fratellone.
– L’hai appena fatto, – ridacchiò l’uomo.
– Io non…
– Facciamo in questo modo, stringiamoci la mano così non saremo più sconosciuti, – lo interruppe prendendogli la mano che scomparve dentro la sua.
– Nii-chan!
Era la prima volta che vedevo il mio fratellone in difficoltà, ma dopo poco riuscì a riprendersi la mano e lo sentii gridare: – Corri!
Corremmo il più veloce possibile, ma il vecchio cominciò ad inseguirci. Le sue brutte scarpe marroni facevano volare le foglie che erano cadute a terra dagli alberi.
– Aspettate bambini!
La sua voce rauca venne coperta dal fischio del treno.
– Presto corri, Yoshi!
– Ma arriva il treno! – lo avvertii impaurito.
– Veloce!
Al passaggio del treno anche la mia sciarpa cominciò ad agitarsi in aria così tanto che pensai avesse paura anche lei.
– Nii-chan, abbiamo superato il treno per pochissimo. La mamma si arrabbierà.
Per un attimo la paura lasciò spazio ad una certa soddisfazione. Ero contento di aver corso veloce come il mio fratellone, ma poi lo guardai. I suoi occhi erano spaventati.
– Signora, è la polizia. Apra, per favore.
– Buongiorno. Cosa succede?
– Ci dispiace interromperla. Dovremmo farle alcune domande su due bambini.
– Due bambini?
– Sì, signora. Ieri pomeriggio giocavano nel parco qui di sotto, così stiamo interrogando le persone di questo palazzo per sapere se hanno visto qualcosa.
– Cos’è successo ai bambini?
– Ancora non lo sappiamo, è quello che stiamo cercando di scoprire.
– Quanti anni avevano?
– Cinque e sette. Perché tutte queste domande?
– Che succede, mamma?
– Scusate, questa è mia figlia Naoki. Vai a giocare in camera, la mamma deve parlare con questi signori.
– Sì, mamma. Arrivederci signori poliziotti.
– Ha una figlia educata, – sorrise l’agente.
– La sto crescendo quasi da sola, non è sempre facile. Il suo papà purtroppo è molto spesso via per lavoro. Comunque prego, accomodatevi. Io penso di aver visto quei due bambini.
– Ci dica esattamente che cosa ricorda. Ogni dettaglio può essere importante.
– I giorni scorsi ho visto da quella finestra due bambini giocare a rincorrersi nel parco qui di sotto.
– Come può essere sicura che fossero tutte le volte gli stessi bambini?
– Quello che sembrava essere il più piccolo dei due indossava sempre una sciarpa arancione. Sembravano felici.
– Una sciarpa come questa? – domandò uno dei due agenti mostrandomi una foto.
– Sì, proprio quella.
– Cos’altro ha notato?
– C’era sempre un uomo con loro. Credevo fosse il padre o, forse, il nonno. Indossava un cappotto scuro e aveva gli occhiali.
– Credeva?
– Sì, fino a ieri.
– Cos’è accaduto ieri?
– Ieri stavano giocando come i giorni precedenti quando, ad un tratto, l’uomo ha cominciato ad inseguirli. All’inizio pensavo scherzasse, ma poi è successo qualcosa che mi ha fatto cambiare idea.
– Cosa?
– L’uomo li ha costretti a scappare oltre i binari della ferrovia proprio quando il treno stava per passare. Ci è mancato poco. Un padre non lo avrebbe mai fatto. Mi sono spaventata tanto. Per un attimo ho temuto il peggio.
– Dunque lei ha visto un uomo sospetto inseguire dei bambini. E per poco questi non finivano sotto un treno, se non ho capito male.
– Esattamente.
– E per quale motivo non ha denunciato il fatto, signora?
– Cosa?!
– Aspetta, non siamo qui per accusare nessuno, – lo interruppe il secondo agente che fino a quel momento si era limitato a prendere appunti. – Si ricorda altro, signora?
– No, non direi.
– D’accordo, se le viene in mente qualche ulteriore dettaglio la prego di chiamare questo numero. Se avremo bisogno di farle altre domande torneremo. Grazie, per il momento.
– Mi spiace davvero per quei bambini.
– Arrivederci.
Nei giorni successivi la notizia si sparse velocemente tra i corridoi del palazzo ed i vicini, a metà tra la curiosità ed il sospetto, cominciarono a farmi domande sull’accaduto e sul perché la polizia venne a bussare alla mia porta più volte.
– Agenti, vi ho già detto tutto quello che so.
– Tuttavia dai rilievi che abbiamo effettuato abbiamo trovate le tracce dei due bambini, ma nessuna relativa ad un uomo.
– Io vi ho detto quello che ho visto.
– Può ripetercelo ancora una volta, signora?
– I due bambini stavano giocando nel parco. Si rincorrevano. Sembravano due normali bambini, felici. Poi, però, un uomo con un lungo cappotto scuro che fino a quel momento li aveva solamente osservati, ed io avevo immaginato fosse un familiare, ha cominciato ad inseguirli.
– Verso i binari del treno?
– Sì, vi ho detto che ho avuto molta paura, perché i due bimbi sono riusciti ad oltrepassare la ferrovia proprio poco prima che il treno li investisse.
– E l’uomo?
– Anche lui.
[1] Termine informale giapponese che significa “fratellone”.
– Vado, non mi troverai mai, Mamoru.
– Uno, due, tre…
– Lentamente!
– … Otto, nove, dieci! Arrivo Yoshi!
Ecco, qui va bene. Non mi troverà questa volta. Non feci in tempo a pensarlo che lo sentii gridare.
– Ti ho visto! Dietro l’albero.
– Come hai fatto?
– La tua sciarpa arancione sbucava tra i rami.
– Non è giusto, tu mi trovi sempre subito, Mamoru.
– Ora tocca a te contare.
– Però non avvicinarti ai binari come l’ultima volta, se no mamma si arrabbia.
– Ok, ok, – rispose con aria soddisfatta.
Mi avviai verso l’albero dove contavamo, ma mi paralizzai.
– Hey, Yoshi. Che fai lì impalato? Yoshi? Dai vieni. Yoshi?!
Mamoru si avvicinò a me.
– Hai visto? – sussurrai.
– Cosa?
– Quello. È da prima che sta fermo là, – dissi indicando un signore con gli occhiali che indossava un cappotto scuro che sembrava troppo largo per lui.
– Non ti preoccupare, vai a contare.
– Ma mi fa paura. È strano.
– No, è solo un vecchio. Puoi contare qui, se vuoi. Così gli stai lontano.
– Va bene. Uno, due, tre…
– Ciao, ho sentito che ti chiami Yoshi. State giocando a nascondino? – mi interruppe l’uomo dagli spessi occhiali.
– Cosa? Sì, ehm… Ora devo andare a cercare il mio fratello… Nii-chan[1]! Nii-chan!
Cominciai a correre verso i binari per allontanarmi da quell’uomo spaventoso.
– Ti ho detto di non nasconderti vicino alla ferrovia! – gridai sperando uscisse dal suo nascondiglio.
Mi girai e l’uomo continuava ad osservarmi.
– Dove sei, nii-chan? Dai, non fa ridere!
– Buu! – fece lui all’improvviso saltando fuori da dietro un cespuglio.
– Nii-chan!
– Ti ho fatto paura, eh! Che avevi da gridare tanto?
– No, è che quell’uomo…
– Hai paura di un vecchio?
– No, ma…
– Guarda, ce n’è un’altra anche alla finestra lassù, – disse indicando un palazzo poco distante che si affacciava sul parco – hai paura anche di lei?
– Nii-chan, si sta avvicinando.
– Bambini posso giocare con voi? – disse l’uomo con un sorriso che scoprì dei grossi denti gialli.
– No, non parliamo con gli sconosciuti, – rispose il mio fratellone.
– L’hai appena fatto, – ridacchiò l’uomo.
– Io non…
– Facciamo in questo modo, stringiamoci la mano così non saremo più sconosciuti, – lo interruppe prendendogli la mano che scomparve dentro la sua.
– Nii-chan!
Era la prima volta che vedevo il mio fratellone in difficoltà, ma dopo poco riuscì a riprendersi la mano e lo sentii gridare: – Corri!
Corremmo il più veloce possibile, ma il vecchio cominciò ad inseguirci. Le sue brutte scarpe marroni facevano volare le foglie che erano cadute a terra dagli alberi.
– Aspettate bambini!
La sua voce rauca venne coperta dal fischio del treno.
– Presto corri, Yoshi!
– Ma arriva il treno! – lo avvertii impaurito.
– Veloce!
Al passaggio del treno anche la mia sciarpa cominciò ad agitarsi in aria così tanto che pensai avesse paura anche lei.
– Nii-chan, abbiamo superato il treno per pochissimo. La mamma si arrabbierà.
Per un attimo la paura lasciò spazio ad una certa soddisfazione. Ero contento di aver corso veloce come il mio fratellone, ma poi lo guardai. I suoi occhi erano spaventati.
– Signora, è la polizia. Apra, per favore.
– Buongiorno. Cosa succede?
– Ci dispiace interromperla. Dovremmo farle alcune domande su due bambini.
– Due bambini?
– Sì, signora. Ieri pomeriggio giocavano nel parco qui di sotto, così stiamo interrogando le persone di questo palazzo per sapere se hanno visto qualcosa.
– Cos’è successo ai bambini?
– Ancora non lo sappiamo, è quello che stiamo cercando di scoprire.
– Quanti anni avevano?
– Cinque e sette. Perché tutte queste domande?
– Che succede, mamma?
– Scusate, questa è mia figlia Naoki. Vai a giocare in camera, la mamma deve parlare con questi signori.
– Sì, mamma. Arrivederci signori poliziotti.
– Ha una figlia educata, – sorrise l’agente.
– La sto crescendo quasi da sola, non è sempre facile. Il suo papà purtroppo è molto spesso via per lavoro. Comunque prego, accomodatevi. Io penso di aver visto quei due bambini.
– Ci dica esattamente che cosa ricorda. Ogni dettaglio può essere importante.
– I giorni scorsi ho visto da quella finestra due bambini giocare a rincorrersi nel parco qui di sotto.
– Come può essere sicura che fossero tutte le volte gli stessi bambini?
– Quello che sembrava essere il più piccolo dei due indossava sempre una sciarpa arancione. Sembravano felici.
– Una sciarpa come questa? – domandò uno dei due agenti mostrandomi una foto.
– Sì, proprio quella.
– Cos’altro ha notato?
– C’era sempre un uomo con loro. Credevo fosse il padre o, forse, il nonno. Indossava un cappotto scuro e aveva gli occhiali.
– Credeva?
– Sì, fino a ieri.
– Cos’è accaduto ieri?
– Ieri stavano giocando come i giorni precedenti quando, ad un tratto, l’uomo ha cominciato ad inseguirli. All’inizio pensavo scherzasse, ma poi è successo qualcosa che mi ha fatto cambiare idea.
– Cosa?
– L’uomo li ha costretti a scappare oltre i binari della ferrovia proprio quando il treno stava per passare. Ci è mancato poco. Un padre non lo avrebbe mai fatto. Mi sono spaventata tanto. Per un attimo ho temuto il peggio.
– Dunque lei ha visto un uomo sospetto inseguire dei bambini. E per poco questi non finivano sotto un treno, se non ho capito male.
– Esattamente.
– E per quale motivo non ha denunciato il fatto, signora?
– Cosa?!
– Aspetta, non siamo qui per accusare nessuno, – lo interruppe il secondo agente che fino a quel momento si era limitato a prendere appunti. – Si ricorda altro, signora?
– No, non direi.
– D’accordo, se le viene in mente qualche ulteriore dettaglio la prego di chiamare questo numero. Se avremo bisogno di farle altre domande torneremo. Grazie, per il momento.
– Mi spiace davvero per quei bambini.
– Arrivederci.
Nei giorni successivi la notizia si sparse velocemente tra i corridoi del palazzo ed i vicini, a metà tra la curiosità ed il sospetto, cominciarono a farmi domande sull’accaduto e sul perché la polizia venne a bussare alla mia porta più volte.
– Agenti, vi ho già detto tutto quello che so.
– Tuttavia dai rilievi che abbiamo effettuato abbiamo trovate le tracce dei due bambini, ma nessuna relativa ad un uomo.
– Io vi ho detto quello che ho visto.
– Può ripetercelo ancora una volta, signora?
– I due bambini stavano giocando nel parco. Si rincorrevano. Sembravano due normali bambini, felici. Poi, però, un uomo con un lungo cappotto scuro che fino a quel momento li aveva solamente osservati, ed io avevo immaginato fosse un familiare, ha cominciato ad inseguirli.
– Verso i binari del treno?
– Sì, vi ho detto che ho avuto molta paura, perché i due bimbi sono riusciti ad oltrepassare la ferrovia proprio poco prima che il treno li investisse.
– E l’uomo?
– Anche lui.
[1] Termine informale giapponese che significa “fratellone”.